Roma e i Barbari: piccola critica alla mostra-evento del 2008

Non c’è niente di meglio di una mostra temporanea per attirare l’attenzione su una problematica archeologica: la mostra nasce con lo scopo di rendere pubbliche le conoscenze che si hanno su un dato argomento, e tanto più l’argomento è vasto o altisonante, tanto più la mostra avrà successo di pubblico. Ma al successo di pubblico corrisponde il raggiungimento dello scopo che la mostra si prefissa? Se la fortuna di una mostra si misura in successo di pubblico allora è giusto interrogarsi su cosa voglia dire questa formula: intendiamo il numero di biglietti staccati oppure il pubblico che esce dalla mostra effettivamente arricchito, con “un qualcosa in più” nel suo bagaglio culturale?

Questa mia critica nasce da una semplice osservazione: non tutti i visitatori di una mostra, per quanto importante come “Roma e i Barbari” possono, o vogliono, permettersi una visita guidata o l’audioguida (prezzo del biglietto d’ingresso = 15 euro, audioguida = 5 euro: totale = 20 euro!). Certo che l’audioguida o la visita guidata costituiscono un valore aggiunto, un servizio in più che ovviamente va pagato, ma non si può pensare di concepire una mostra solo per essere visitata mediante uno di questi due servizi aggiuntivi. Eppure, questo è ciò che accade a Palazzo Grassi. Di fatto chi si accinge a visitare “Roma e i Barbari” semplicemente percorrendo le sale, guardando le vetrine e leggendo didascalie o pannelli resta alquanto perplesso: non un pannello esplicativo, solo alcuni testi tratti da autori latini per inquadrare il momento storico preso in esame di volta in volta; solo alcune didascalie tratteggiano brevemente alcuni personaggi o alcune divinità; le didascalie a corredo delle opere non sempre sono facilmente individuabili.

Riporto a tale proposito due esempi.

Nell’ampio salone di ingresso di Palazzo Grassi, in cui ha inizio la mostra, sono esposti alcuni splendidi sarcofagi e rilievi con rappresentazioni di soldati e di scene di battaglia. Nel mezzo della sala c’è una grossa base con una lunga iscrizione in latino, sulla parete destra uno splendido sarcofago con una concitata ed elaborata scena di battaglia richiama l’attenzione di tutti i visitatori. Alla sinistra del sarcofago una didascalia scritta in corpo più grosso riporta il testo di un’iscrizione in latino, mentre un’altra in corpo più piccolo fornisce la provenienza. Alla destra del sarcofago un’altra didascalia in corpo più piccolo fornisce un’altra provenienza del pezzo. Sorge un punto interrogativo: quale delle due didascalie si riferisce al nostro sarcofago? Ma soprattutto, dov’è l’iscrizione riportata in corpo più grosso? Sul sarcofago non c’è. E finalmente il visitatore capisce che le due didascalie alla sinistra del sarcofago sono da riferirsi alla base posta in centro alla stanza, decisamente, però, troppo lontana. Come questo caso se ne incontrano altri nel prosieguo del percorso espositivo.

Secondo esempio: la mostra offre ai visitatori splendidi corredi funerari e contesti archeologici che raramente si possono vedere, fibule ad arco, fibule a cipolla, ardiglioni, falere…ecco appunto: cos’è una falera? il visitatore privo di audioguida non lo scoprirà mai, non solo, ma avrà grossi problemi nell’individuare i singoli oggetti all’interno delle vetrine: i pezzi esposti non sono numerati, per cui non sempre si riesce a capire a quale oggetto si riferisca la didascalia.

Per come è articolata, la mostra è divisa in due sezioni, una propriamente sul rapporto tra Roma e i Barbari, l’altra sui barbari dopo Roma. I pezzi esposti sono notevoli, per la maggior parte provenienti dalla Gallia e dalle regioni europee che in età romana erano ai margini dell’impero: si tratta di materiali che in Italia capita raramente di vedere, e perciò tanto più interessanti. Molto azzeccata, a mio parere, l’inserzione di dipinti di pittori dell’Ottocento raffiguranti episodi della storia di Roma connessi con i barbari: hanno il merito di invitare il visitatore a immaginare, a leggere un episodio storico dietro l’oggetto esposto, sono suggestivi e alleggeriscono e diversificano l’esposizione.

A conclusione di quest’analisi (ma è solo il mio punto di vista), il mio parere è che “Roma e i Barbari” sia una mostra per molti, ma non per tutti: una mostra dev’essere in grado di fornire anche il minimo livello di spiegazione, che non sia limitato alle sole didascalie: non tutti i visitatori sono degli archeologi “romanisti” in grado di capire perfettamente i contesti presentati; chi sceglie di non prendere l’audioguida deve essere comunque in grado di capire ciò che sta vedendo, di collocarlo spazialmente o temporalmente, di saperlo riferire ad un contesto preciso: altrimenti davanti agli occhi scorreranno immagini di oggetti preziosissimi ed eccezionali, senz’altro, ma vuoti dal punto di vista della comunicazione. Una mostra, a mio parere, deve essere concepita per essere compresa anche senza l’ausilio dell’audioguida. Se invece non se ne può fare a meno, allora che l’audioguida venga inclusa nel prezzo del biglietto: perché a dispetto di quello che pensano alcuni teorici della museologia, non tutti sono disposti a spendere cifre esorbitanti per accrescere la loro cultura, nella fattispecie archeologica.

Marina Lo Blundo
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Preferisco viaggiare in treno, automobile, aereo.

Ho necessità di prenotare l’hotel per la mia permanenza a Venezia.


Ultima modifica 2008/05/22