Riccardo Francovich “nel cuore di Firenze”

Si è svolto ieri l’incontro organizzato da Archeologia Viva dedicato alla memoria dell’archeologo Riccardo Francovich, ad un anno dalla scomparsa. Per ricordarlo sono intervenuti Sauro Gelichi, Richard Hodges, Guido Vannini e Antonio Paolucci, che hanno presentato la figura di quello che può essere definito uno dei padri dell’archeologia medievale in Italia.

Gli interventi hanno tutti posto l’accento su alcuni tratti fondamentali del carattere e del modo di lavorare di Francovich: la volontà di collaborare, in vista di un progetto comune, per ottenere il meglio per il pubblico e per gli studiosi stessi, non solo nell’ambito dell’Università, coinvolgendo gli studenti, ma anche con le Soprintendenze, creando rapporti di lavoro e di collaborazione come se ne vedono pochi in Italia. Francovich per primo ha intuito le potenzialità delle nuove tecnologie da applicare alla ricerca archeologica e le ha sfruttate per i suoi progetti, progetti che sono sempre stati di ampio respiro, e all’interno dei quali lo studio della cultura materiale, per dare voce ai “muti” della storia, è divenuto prassi fondamentale.

Francovich riteneva l’archeologia una fonte di maturazione e di autocoscienza, un valore identitario e democratico. Per questo l’archeologia ha un valore solo se la si comunica, perché altrimenti è una scienza inutile che serve solo a far fare carriera a chi la pratica. Per questo ancora recentemente si infervorava quando ripensava agli scavi di Piazza della Signoria a Firenze, ancora inediti:in essi vedeva da un lato irrimediabilmente perduta una mole di dati e di informazioni sulla storia della città, dall’altro si rendeva conto che per fare archeologia così tanto vale non farla, perché ogni scoperta va comunicata. La visione dell’archeologia come uso civico e sociale lo portò sempre a dare come risultato dei suoi progetti di ricerca delle vere e proprie strutture per la comunicazione della scoperta. A lui si deve il Parco minerario di Rocca San Silvestro, primo parco archeologico medievale in Italia, nato dalla volontà di trasmettere, di far conoscere e di informare il pubblico attraverso l’immagine diretta, un linguaggio semplice e alla portata di tutti.

Gli scavi che condusse a Firenze sotto Palazzo Vecchio, e che hanno rivelato i resti del teatro romano e le fasi della città medievale di X-XI secolo, lo convinsero della necessità di realizzare un museo comunale per i cittadini, perché fosse fatta conoscere la storia di Firenze precedente ai Medici. Nel 2009 la sua idea vedrà la luce con una mostra, “La città invisibile” nella quale si esporrà lo sviluppo di Firenze dall’età tardoromana alla rinascimentale, un percorso che vuole essere un omaggio a questo grande archeologo che guardava alla sua città nella doppia veste di studioso e di cittadino.


Ultima modifica 2008/03/22