Mantova – A Palazzo Te la mostra “La Forza del Bello. L’arte greca conquista l’Italia”

MANTOVA – Potenza del bello. Potenza della Grecia antica. Ma anche potenza di Salvatore Settis. Soltanto una autorità come la sua che supera quella di studioso del mondo antico o di direttore dell’istituto di istruzione più agognato d’Italia, la Normale di Pisa, poteva mettere insieme pezzi incredibili di archeologia, a volte pezzi unici, che sono l’opera o fra le opere che identificano molti musei. Una mostra non altrimenti possibile (anche per il costo che supera i tre milioni di euro), che è anche un diretto richiamo ai nostri comportamenti quotidiani, trattando il senso del bello al livello più alto, di bellezza “classica”, in una epoca che fa di tutto contro il senso del bello.

E’ la grande mostra di Mantova “La forza del Bello. L’arte greca conquista l’Italia“, dal 29 marzo al 6 luglio a Palazzo Te, per la prima volta nelle sale affrescate da Giulio Romano e nelle tradizionali Fruttiere. Per concretizzare quell’idea che da sempre è nell’aria, cioè delle radici che l’arte prodotta in Grecia, in Magna Grecia e in Sicilia ha esteso in Italia nell’arte dei romani, del popolo dominatore della penisola, del Mediterraneo (della stessa Grecia dal II secolo avanti Cristo), quasi del mondo conosciuto. E queste radici greche si sono consolidate dal Medioevo all’Ottocento, attraverso il collezionismo del Rinascimento, la ricerca archeologica del Settecento. Superando, al disfacimento dell’impero romano, la crisi del Medioevo “quando il valore del nudo metallo”, delle statue più preziose, “era ormai maggiore di quello delle opere d’arte”. Perché serviva alla vita quotidiana, a fare monete, armi, coltelli, utensili. A Roma le statue in bronzo erano “molte migliaia”. Quanto alle statue di marmo, i forni per farne calcina fumarono a lungo a Roma.

L’esposizione, che si avvale dell’allestimento di Andrea Mandara, si propone di illustrare narrativamente, con una scelta di oltre cento opere di straordinario impatto visivo, provenienti da tutto il mondo ed esposte per la prima volta contemporaneamente nelle Sale di Palazzo Te e nelle Fruttiere, la storia della presenza dell’arte greca sul territorio italiano, di centrale importanza nella millenaria vicenda di contatti e scambi che forma la trama delle culture artistiche del Mediterraneo. Pur non essendo questa una vicenda lineare, si sono individuate tre fasi successive e ben caratterizzate, corrispondenti, ciascuna, a una sezione della mostra. Si propone così un racconto storico attraverso opere di altissima qualità estetica.

Nella prima fase (VII-II sec. a.C.) l’arte prodotta nelle città greche dell’Italia meridionale e della Sicilia s’intreccia con quella prodotta in Grecia e importata non solo dai Greci d’Italia, ma anche da altri popoli della Penisola, specialmente gli Etruschi, che ne sono conquistati e prendono a imitarla. Fra le culture durevolmente sedotte dall’arte greca spicca quella di Roma, cui è dedicata la seconda parte dell’esposizione (III sec. a.C. – IV sec. d.C.). I Romani non solo saccheggiano e raccolgono opere d’arte greca, ma attraggono artisti greci a lavorare per loro in Italia, e delle opere più celebrate vogliono copie “in serie”, a ornare case, palestre e giardini. Questa “moltiplicazione” dell’arte greca e l’eco duratura che essa lascia nelle opere degli scrittori romani, ne ha assicurato la fama e ha costruito le premesse per la sua ricerca e riscoperta dal Medio Evo all’Ottocento, tema della terza parte della mostra. A un’idea quasi favolistica dell’arte greca perduta si affianca, dal Quattrocento in poi, l’importazione di sculture dalla Grecia; rinasce il collezionismo di scultura antica e, nell’assiduo tentativo di ricostruire l’antica narrazione storica dell’arte, si impara a distinguere gli originali dalle copie, mentre dal suolo italiano spuntano nuovi originali greci.

Questa sequenza narrativa vuole far emergere alcuni tratti costanti del gusto che ha radicato l’arte greca nelle culture d’Italia: dall’una all’altra sezione si inseguono dunque, con la forza potente del richiamo visivo, i grandi temi che segnano i meccanismi della ricezione. E’ infatti su questa base che nasce, dal Settecento in poi, lo studio “scientifico” dell’arte greca, partito con l’antiquaria italiana e culminato nell’archeologia tedesca. La presenza dell’arte greca in Italia diviene così la matrice e il lievito di un processo di riscoperta e conoscenza storica ancora in corso.

I SEZIONE
La presenza di opere d’arte greca sul suolo italiano comincia almeno dal VII secolo a.C. A volte sono le opere di artisti greci ad essere importate in Italia, a volte gli stessi artisti si trasferiscono in Italia. Ma buona parte dell’Italia è allora interamente greca: colonie greche – come Taranto, Sibari, Crotone, Reggio, Siracusa, Agrigento – popolano infatti le coste dell’Italia meridionale – la Magna Grecia – e della Sicilia. Le opere d’arte prodotte in queste città sono ovviamente del tutto greche, anche se talvolta hanno caratteri stilistici peculiari. Ma anche altri popoli non greci dell’Italia antica importano in massa oggetti di prestigio prodotti in Grecia e se ne fanno profondamente influenzare: emergono fra questi gli Etruschi e, più tardi, i Romani. Ceramiche e sculture non vengono importate per il loro valore d’arte, bensì per la loro funzione, ad esempio per comporre corredi funebri o gli arredi dei santuari; tuttavia, la fortuna dei criteri di analisi del visibile e di rappresentazione elaborati dall’arte greca è dovuta soprattutto alle sue alte qualità formali, alla sua capacità di narrare il mito (e più tardi la storia), ma anche di “mostrare” al meglio il bello, l’umano e il divino. E’ proprio in questi secoli che l’arte greca sviluppa infatti i suoi tratti caratteristici più marcati e più duraturi, cioè:

  • un’accentuata attenzione al corpo umano nei suoi valori di energia e di eleganza;
  • la contrapposizione e l’equilibrio fra le norme del controllo sui movimenti del corpo e la sfrenatezza consentita in condizioni estreme (la guerra, le danze bacchiche);
  • il contrasto fra la sensualità dei corpi, specialmente femminili, e l’intensità ideale dei volti, specialmente maschili;
  • infine, le modalità di narrazione del mito e la rappresentazione degli dèi.

Questi stessi caratteri formeranno, nel tempo, le categorie estetiche della ricezione dell’arte greca. Saranno le ragioni della sua fortuna, e perciò ci permettono di articolare e intendere storicamente la forza del bello.

Torso di kouros (cosiddetto Apollino Milani)

La sezione si apre con uno straordinario capolavoro: il Kouros Milani B in marmo bianco, dal Museo Archeologico di Firenze, ricongiunto alla Testa da Osimo in marmo, in collezione privata; eccezionalmente vengono assemblati come in origine. Tra i pezzi di grande bellezza e importanza, la copia in bronzo del monumentale Cratere di Vix, da Châtillon-sur-Seine, appaiato al grande Vaso con fregio fittile di guerrieri da Metaponto; la splendida Testa femminile in marmo da Francoforte e due sculture monumentali di provenienza siciliana: l’Auriga di Mozia, in marmo, e il Satiro di Mazara, in bronzo. Queste sculture fanno parte di un gruppo di nove opere tutte provenienti dalla Sicilia, richieste dai curatori per esemplificare la massiccia presenza dell’arte greca nelle greche Italia Meridionale e Sicilia. Altre opere sono il Satiro di Armentum, in bronzo, proveniente da Monaco e lo Zeus bronzeo di Ugento col suo capitello da Taranto. La pluralità dei media di trasmissione di forme e valori della cultura greca è esemplificata, nella mostra, anche attraverso esemplari di pittura vascolare di altissima qualità pittorica.

II SEZIONE
“Una volta conquistata, la Grecia conquistò i suoi selvaggi vincitori, e portò le arti fra i contadini del Lazio”: queste parole, citatissime, di Orazio descrivono molto bene l’attitudine dei Romani verso la cultura greca. La Grecia già nel II secolo a.C. è completamente assoggettata a Roma sul piano politico e militare: le città greche di Sicilia e Magna Grecia lo erano state anche prima, altre aree di cultura greca, da Pergamo ad Alessandria, vengono sottomesse dai Romani fra il II e il I secolo a.C. Ma per i Romani delle classi elevate, la cultura greca costituisce per secoli un costante punto di riferimento. Attratti irresistibilmente dall’arte greca, non solo per la funzione che gli oggetti d’arte potevano avere in templi, luoghi pubblici e dimore, ma specialmente nei suoi valori di bellezza e di eleganza, i Romani cercano di appropriarsene in varie forme.

Importazione e collezionismo
Prima di tutto, moltissime opere d’arte greca vengono violentemente strappate alle città sconfitte, ad esempio Siracusa nel 212 a.C. e Corinto nel 146 a.C. e portate come bottino di guerra a Roma, dove sfilano nelle processioni trionfali e sono poi esposte nei templi. Molti Romani delle classi più alte fanno inoltre a gara nel raccogliere nelle loro ville opere d’arte greca, dando vita a un collezionismo assai competitivo.

Artisti greci in Italia
Un altro modo di assicurarsi la presenza dell’arte greca in Italia, specialmente a Roma, è di offrire lavoro e commissioni ad artisti greci, che in gran numero si trasferiscono a Roma e vi impiantano le loro botteghe. Il mercato della capitale dell’impero è ormai assai più vivace di quello delle città greche e, in qualche caso, ad esempio a Rodi, crisi economiche e politiche di grande portata hanno addirittura quasi estinto la richiesta di opere d’arte. Gli scultori del Laocoonte, ad esempio, sono tre maestri di Rodi, che si trasferiscono a Roma dopo il crollo economico della madrepatria, e perciò della domanda d’arte, verso il 40 a.C. A volte, poi, le botteghe degli artisti greci si specializzano nella produzione di opere “all’antica”, che si sforzano di riprodurre gli stili arcaici del VI secolo a.C. o quelli “classici” del V e del IV: una prima forma di canonizzazione dell’arte del passato, alla quale artisti e committenti cominciano a guardare con spirito retrospettivo e nostalgico.

L’industria delle copie
La spoliazione delle opere d’arte dalle città greche non può essere totale e, nonostante i numerosi approdi di originali greci a Roma e in Italia, la domanda di opere d’arte greca supera largamente l’offerta di originali. Le richiedono avidamente i singoli “collezionisti”, ma anche i cittadini che desiderano per le loro case pochi pezzi da esibire come prova della loro cultura alla greca; molto richieste sono anche per l’arredo di edifici pubblici come terme e ginnasi, dove è prescritta una fitta decorazione di livello culturale alto, cioè necessariamente greco. Nasce così l’industria delle copie. I grandi capolavori del passato, riconosciuti come tali anche perché citati con frequenza nei libri specializzati di “storia dell’arte” (che in Grecia si cominciano a scrivere già dal III secolo a.C.), vengono più o meno accuratamente copiati, spesso sulla base di calchi in gesso fatti sugli originali. Queste copie sono per noi preziosissime, perché spesso ci restituiscono l’aspetto generale di originali andati quasi tutti irrimediabilmente perduti.

Nella scelta delle opere d’arte greca che arredavano le loro città e le loro case, i Romani tendono a privilegiare valori, non solo formali ma etici, come l’energia e l’eleganza, la bellezza del corpo, la raffinatezza delle forme, la gioia di vivere; la maestà del divino e i caratteri e le espressioni del volto umano. L’arte greca nella quale la cultura romana ama rispecchiarsi assume in tal modo il significato di un deposito inesauribile di modalità narrative e rappresentative e, insieme, di un organico serbatoio di memoria culturale. Il mito greco viene non solo raccontato incessantemente, nella letteratura e sulla scena teatrale come nella decorazione domestica, ma diventa anche uno specchio in cui identificarsi: perciò i Romani amano sempre più farsi rappresentare nelle vesti di figure mitiche dell’antica Grecia, ma anche raccogliere in biblioteche pubbliche e private, in case e ville, gallerie di ritratti dei poeti e dei filosofi greci. La ricezione dell’arte greca finisce così col tradursi in un lento ma radicale cambiamento di funzione: statue e dipinti sono ormai primariamente ricercati per la loro bellezza e qualità, sono “oggetti d’arte” e come tali formano una parte essenziale della cultura romana. La Graecia capta – “Grecia conquistata” – ha davvero conquistato Roma e, attraverso la vastità del suo impero, è pronta a invadere l’Europa.

Tra le opere più importanti esposte in questa seconda sezione della mostra segnaliamo: la Testa colossale di Atena in marmo, dai Musei Vaticani, il Volto da Cesano in avorio, da Palazzo Massimo a Roma, i due Efebo tipo Westmacott in marmo, dall’Antiquarium della Villa Papale di Castel Gandolfo e dai Musei Capitolini, l’Efebo porta-lampada in bronzo, dal Museo Archeologico di Napoli, l’Antonia minore come Venere genitrice in marmo, da Baia, e lo splendido Apollo di Piombino in bronzo, dal Louvre. E alcuni notevoli affreschi, come quelli con Paesaggi con scene dall’Odissea dai Musei Vaticani.

III SEZIONE
La memoria dell’arte greca rimane ben viva anche nel Medio Evo: ma si tratta di una memoria più letteraria che monumentale. Nel grande naufragio della cultura e dell’arte antica dopo la fine dell’impero romano, vengono distrutte quasi tutte le sculture in marmo e in bronzo, le pitture, le decorazioni dei templi e degli edifici civili; e quello che si salva deve quasi sempre attendere molti secoli prima di tornare alla luce, per caso o dopo uno scavo. Scomparsi tutti i dipinti, sono soprattutto le sculture a tramandare l’arte antica: ma in quel poco che resta visibile nessuno riesce più a distinguere il greco dal romano. Cade invece in totale oblio la “grecità interna” dell’Italia, quella di Sicilia e Magna Grecia: persino i templi imponenti di Paestum e di Agrigento vengono dimenticati fino al Settecento.

Rilievo funerario con cavaliere

Quasi nessuno legge più il greco nell’Occidente europeo, ma gli autori latini, specialmente Plinio il Vecchio, rendono chiaro il primato dell’arte greca e l’alta considerazione in cui la tengono imperatori, senatori, intellettuali della Roma antica. Roma è per secoli fonte primaria, se non unica, di ogni scultura antica, e anzi nulla può nobilitare una statua quanto la sua provenienza da Roma: le “statue di Roma” divengono nel Cinquecento modello e misura del gusto per tutta Europa; alcune corti e alcuni luoghi, come il Cortile di Belvedere in Vaticano e la Tribuna degli Uffizi a Firenze, sono ammirati e imitati da tutti i sovrani, dalla Germania alla Spagna. Le prime collezioni di antichità contengono anche qualche opera greca, di solito importata attraverso l’Adriatico e Venezia: già nel Quattrocento un italiano, Ciriaco d’Ancona, è il primo a viaggiare in Grecia con intento archeologico. Dell’arte greca si ha allora un’idea assai vaga: e accade ancora, come nel Medio Evo, che opere d’impronta greca siano intese come romane, per assimilarle all’aura dell’impero defunto, o che opere romane di particolare bellezza vengano senza ragione presentate come greche. Ma sulla scia delle fonti antiche, che si moltiplicano per la scoperta di nuovi manoscritti e per la crescente conoscenza del greco, si impara ad attribuire all’arte classica alcune qualità essenziali, degne di ammirazione e di imitazione: l’attenzione al corpo umano, la rappresentazione del nudo e l’eleganza dei panneggi, il senso dell’equilibrio e la misura delle proporzioni, la peculiare caratterizzazione dei ritratti, le raffinate modalità narrative e compositive dei rilievi.

Molte delle statue “greche” che emergono a Roma e altrove sono copie da originali perduti, ma lo si comprende molto tardi: “greche” si ritengono piuttosto, in mancanza di altri criteri, solo statue e rilievi con iscrizioni in greco o che rappresentino personaggi della storia e della cultura greca o miti greci. Si tratta invece, per la gran parte, di opere romane; ma la nostalgia dell’arte greca perduta, la cui eco riverbera dagli scritti di Plinio, di Cicerone, di Vitruvio, vale come uno stimolo potentissimo alla sua riscoperta. E’ così che antiquari e archeologi italiani ed europei finiscono col comprendere che molte delle “statue di Roma” sono sì copie, ma vanno rivalutate introducendo nuovi metodi per “ricostruire”, almeno mentalmente, gli originali perduti.

In questo contesto ricco e variato, importanti originali greci che approdano in Italia, ad esempio alcune sculture del Partenone, non hanno inizialmente dal Cinque al Settecento uno status speciale, ma si affiancano alle sculture di provenienza italiana. Solo coi grandi viaggi esplorativi fra Sette e Ottocento, con le campagne di acquisti di vasti cicli scultorei – trasferiti da Egina a Monaco, da Atene a Londra e, più tardi, da Pergamo a Berlino – e con il consolidarsi dell’archeologia “scientifica” nelle università, si impara a distinguere l’arte greca dalla romana e a ricostruirne lo sviluppo storico. La prima guida su questa strada è l’opera del tedesco J.J. Winckelmann, che in Grecia non mette mai piede e che per intendere l’”essenza dell’arte greca” si fonda sulle fonti antiche e su una secolare cultura antiquaria tutta incentrata sulle “statue di Roma”: ma in esse, con prodigioso intuito, riesce a cogliere lo spirito di quelle di Atene, la forza e le ragioni del Bello.

La grazia, l’equilibrio, la misura, la naturalezza della rappresentazione e l’intensità dell’espressione divengono così criteri distintivi dell’arte greca, ma anche modello per quella neoclassica di un Thorvaldsen o di un Canova. La forza del bello anima le categorie estetiche della ricezione dell’arte classica, ma anche ne impone e guida la riscoperta, l’indicazione a modello per gli artisti, la ricostruzione e comprensione storica.

Cratere a calice a figure rosse (cosiddetto “vaso di Euphronios”)

Tra le opere esposte nella terza sezione della mostra, tutte nelle Fruttiere di Palazzo Te, ricordiamo la Kore Grimani e il Busto di Dioniso entrambi in marmo, dal Museo Archeologico di Venezia, l’Idolino in bronzo con la sua base rinascimentale, dal Museo Archeologico di Firenze, l’Erinni Ludovisi in marmo pentelico, dal Museo Nazionale Romano, reintegrata col suo Cuscino rinascimentale in marmo, conservato a Roma nella Curia Generalizia dell’Ordine di S. Agostino. Esposte inoltre alcune teste in diversi materiali: “Efestione” in bronzo, dal Museo del Prado a Madrid, un altro “Efestione” in basalto, da Venezia, la Testa di Atleta in bronzo, da Forth Worth, Texas e rilievi, come il Rilievo con Cavaliere in marmo, da Pompei, ora ai Musei Vaticani. Tra i pezzi di grande suggestione il Torso di Belvedere in marmo, dai Musei Vaticani e lo Spinario in bronzo, dai Musei Capitolini di Roma, per la prima volta posto a confronto con lo Spinario in marmo della Galleria Estense di Modena.

In mostra anche alcune opere fondamentali, recentemente restituite all’Italia da due grandi musei americani grazie all’azione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: due marmi dipinti dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles – Sostegno di mensa con grifoni che sbranano una cerva e Bacino marmoreo con Nereidi, che per la prima volta verranno esposti con altri pezzi dalla stessa tomba di Ascoli Satriano, e il celeberrimo Vaso di Eufronio restituito dal Metropolitan Museum di New York.

CATALOGO
Il catalogo della mostra è curato da Maria Luisa Catoni ed edito da Skira (65€, 24 x 28 cm, 368 pagine 218 colori e 126 b/n, cartonato, acquistabile on-line da webster.it): contiene l’introduzione e un saggio di Salvatore Settis e altri scritti di Maria Luisa Catoni, Francesco De Angelis, Stefano De Caro, Franco Ferrari, Valerio Neri, Cecilia Parra, Giuseppe Pucci, Anna Maria Reggiani e Paul Zanker. La realizzazione delle schede è stata curata da Lucia Franchi.

L’esposizione avrà un importante seguito nella mostra che si terrà in Sicilia nell’estate del 2009, in cui si metteranno a confronto le opere realizzate dagli artisti delle colonie greche in Italia con quelle coeve realizzate dagli artisti della Grecia e dell’Anatolia. Per dimostrare l’affascinante ipotesi di un modello policentrico di sviluppo dell’arte greca, in cui le opere prodotte in Grecia e in Italia non siano contrapposte in termini di “centro” e “periferia”, ma confrontate come esperienze parallele, intrecciate, suscettibili di mutua influenza.

La mostra di Palazzo Te rappresenta dunque un appassionante viaggio a ritroso, alle radici della nostra cultura. I capolavori selezionati da Settis e Catoni e richiesti con tenacia da Palazzo Te, ci consentono di ammirare opere straordinarie, cariche di quella bellezza insieme etica ed estetica, guardata, cercata e fissata durevolmente nel marmo o in pittura dagli artigiani greci, che hanno segnato in modo determinante molta dell’arte e numerose poetiche artistiche successive.

INFORMAZIONI
Sede della mostra
Palazzo Te
Viale Te, 13 ““ 46100 Mantova
**Durata della mostra
** 29 marzo ““ 6 luglio 2008
**Prenotazioni
** 199 199 111
dall’estero +39 02 43353522
dal lunedì al venerdì ore 9 ““ 18
Diritto di prenotazione
Tariffa ordinaria: 1,5 €
Tariffa per studenti: 0,5 €
Orari
9.00 ““ 19.00
(chiusura biglietteria 18.00)
Modalità di visita
La visita della mostra è regolamentata da un sistema di fasce orarie con ingressi programmati.
La prenotazione è obbligatoria per i gruppi e consigliata per i singoli.
Il biglietto di ingresso consente la visita gratuita anche del Museo della Città di Palazzo San Sebastiano (Largo XXIV Maggio, 12).
Biglietti
intero: 10 €
ridotto: 8 €
gruppi superiori alle 15 unità, maggiori di 60 anni, possessori del biglietto di ingresso al Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, possessori MantovaCard, possessori di CardBresciaMusei, soci Touring Club, soci FAI, altre categorie convenzionate: ridotto 4 €
visitatori tra i 12 e i 18 anni, studenti universitari e disabili: gratuito
minori di 11 anni, un accompagnatore per gruppo, due accompagnatori per scolaresca, accompagnatori di disabili che presentino necessità
Visite guidate alla mostra incluso Palazzo Te
Gruppi (minimo 15 ““ massimo 25 persone)
in lingua italiana: 160,00 €
in lingua straniera: 180,00 €
La tariffa della visita guidata comprende l’utilizzo delle radioguide.
Per i gruppi con guida propria il noleggio delle radioguide è obbligatorio al costo di euro 30,00 per gruppo.
Scuole (massimo 25 studenti)
in lingua italiana: 100,00 €
in lingua straniera: 180,00 €
Per le scuole non sono disponibili le radioguide.

Organizza facilmente via internet il tuo viaggio alla mostra “La forza del bello”

Preferisco viaggiare in treno, automobile, aereo.

Ho necessità di prenotare l’hotel per la mia permanenza a Mantova.

Fonti e approfondimenti:
http://www.laforzadelbello.it/

http://www.centropalazzote.it/
http://www.repubblica.it/200 … ello/forza-bello.html


Ultima modifica 2008/04/01