L’origine degli Etruschi, nuova luce con il test del DNA

ArcheoBlog

6 Aprile, 2007

5 thoughts on “L’origine degli Etruschi, nuova luce con il test del DNA

  1. Alberto Palmucci

    LE ORIGINI, LA LINGUA E IL DNA DEGLI ETRUSCHI

    1. IL DNA DEGLI ETRUSCHI E DEI POPOLI ORIENTALI. Nel 2004 e nel 2006, due prestigiose riviste di genetica, una americana, ed una inglese (1), hanno reso noti i risultati che l’equipe di Guido Barbujani, professore di genetica all’Università di Ferrara, ha ottenuto al termine d’una ricerca sul DNA mitocondriale degli Etruschi per confrontarlo con quello delle attuali popolazioni italiane, europee, nordafricane ed orientali. Ringrazio Barbujani per avermi inviato gli originali testi inglesi delle pubblicazioni.
    La sua equipe ha constatato che il DNA mitocondriale degli Etruschi è in parte simile a quello di coloro che oggi vivono in quelle regioni d’Italia che un tempo erano l’antica Etruria. A loro volta, entrambi i DNA, l’antico e il moderno, sono diversi dal DNA di chi ora abita nella restante Italia e nella restante Europa, e sono invece in parte simili non solo al DNA di alcune genti della Germania e della Cornovaglia, ma pure a quello di coloro che ora abitano nelle regioni delle coste meridionali del Mediterraneo e nel vicino Oriente.
    Sono stati studiati 28 scheletri provenienti da Tarquinia, Magliano, Castelfranco, Castelluccio, Volterra, Capua ed Adria. Quest’ultime due città, rispettivamente in Campania ed in Veneto, sono state incluse perché furono colonie etrusche. L’equipe ha riscontrato che quegli scheletri, sebbene provengano da diverse e lontane località, non presentano fra loro particolari differenze di DNA. Da ciò, si è inferito che gli Etruschi, nonostante fossero costituiti da una federazione formata da tanti Stati indipendenti, non siano stati un popolazione composita, ma abbiano avuto un’unica caratteristica genetica.
    Il fatto poi che il DNA etrusco sia solo scarsamente simile a quello dei moderni Toscani ha fatto supporre a Barbujani che o il DNA del popolo etrusco si sia estinto nel tempo per motivi vari, oppure che l’antico DNA che noi conosciamo fosse esclusivo di un ceto dominante derivato da un popolo invasore che avrebbe anche introdotto la lingua. Dopo la conquista romana questo ceto sarebbe stato in parte assorbito dai Romani attraverso matrimoni e migrazioni d’intere famiglie verso Roma, e in parte sarebbe decaduto e si sarebbe confuso col popolo. La lingua avrebbe seguito lo stesso destino. Quella che nel medio evo parlavano i Toscani non risultava dall’Etrusco mischiato col Latino, ma discendeva direttamente dal Latino. C’è chi, a torto o no, sostiene che i popolani etruschi non avessero parlato la lingua etrusca che noi conosciamo, bensì una lingua italica simile all’Umbro e al Latino.
    Del DNA degli Etruschi, tuttavia, qualcosa è rimasto: esso è diverso da quello delle altre regioni italiane ed europee, ma è in qualche parte simile a quello degli odierni popoli germanici ed orientali. Queste somiglianze possono esser dovute sia a migrazioni di gente venuta dall’Europa centrale e dall’Oriente, sia ad unità di stirpe con l’una o con l’altra gente o con entrambe distintamente. Unità di stirpe e migrazioni potrebbero essere anche concomitanti.
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    Nell’aprile 2007, la sopra citata rivista americana ha pubblicato i risultati di una nuova ricerca condotta da un’equipe guidata dal prof. Antonio Torroni dell’Università di Pavia, e composta da studiosi eminenti come, fra gli altri, Alberto Piazza e Luca Cavalli Sforza della Stanford University. Questa equipe non ha studiato gli antichi scheletri, ma il DNA mitocondriale di 322 persone non imparentate fra loro e abitanti in Toscana da almeno tre generazioni, e lo ha poi confrontato con quello di altri 15.000 soggetti di 55 popolazioni dell’Italia, dell’Europa, dell’Africa settentrionale e del vicino Oriente. Il genoma mitocondriale viene trasmesso solo per via materna, e quindi garantisce una minore degradazione dei geni degli antichi Etruschi da parte di immigranti e conquistatori.
    Ringrazio Torroni per avermi fornito il testo inglese della pubblicazione ed avermi così liberato dalle insane notizie che avevo ricevuto attraverso i media.
    La sua equipe ha evidenziato un legame con punte del 17,5% fra il patrimonio genetico degli attuali Toscani e quello di alcune popolazioni del vicino Oriente (Turchia, Giordania e Siria) e delle isole Egee (Lemno e Rodi). E’interessante, dice Torroni, che la popolazione di Lemno è “ un’eccezione nel panorama genetico con le particolari caratteristiche che la distinguono sia dalle moderne popolazioni europee che da quelle del Vicino Oriente”.
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    In uno studio parallelo a quello condotto sul DNA mitocondriale umano, l’equipe del professor Paolo Ajmone-Marsan dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, al quale ha partecipato anche il gruppo del professor Torroni e il Prof. Luigi Cavalli Sforza, ha analizzato il DNA mitocondriale dei bovini toscani, quelli di razza Chianina e Maremmana: i risultati sono stati pubblicati sulla rivista britannica Proceedings of the Royal Society: Biological Science. L’equipe ha riscontrato che anche i bovini toscani (Bos Taurus) sono in parte geneticamente simili al bovini di quelle stesse regioni orientali.
    Ciò però non implica necessariamente che un popolo intero venne in massa dall’Oriente in Italia via mare o via terra trasferendo anche i bovini. Se è vero o se può esser vero che l’antico DNA etrusco studiato da Barbujani appartenne solo alla classe dominante, è meglio ipotizzare anche che non fu un intero popolo a trasferirsi bensì un consistente gruppo di persone provenienti da diverse regioni orientali, che prese il potere su una popolazione locale meno evoluta.
    Quel popolo o forse, e meglio, quel gruppo di persone potrebbe dunque aver mantenuto contatti con la terra d’origine, e potrebbe aver importato bestiame in un secondo momento, mosso da opportunità commerciali, oppure costretto da qualche morìa di animali.
    Peraltro, non è affatto pacifico che ci sia stata un’unica migrazione di un unico popolo in un unico tempo. Le migrazioni potrebbero essere state scaglionate in vari periodi, o potrebbero essere avvenute per gruppi di persone come è avvenuto per le migrazioni europee in America; non solo, ma ognuna di esse può aver avuto code. E come le migrazioni verso l’America partirono da diversi Stati dell’Europa occidentale, così potrebbe esser avvenuto per le migrazione dal Vicino Oriente in Etruria. L’Anatolia, per esempio, era abitata da Ittiti, Troiani, Misi e Lidi: ognuno di loro potrebbe esser venuto in Italia, e non tutti insieme e nello stesso periodo: la comunità di DNA implica comunità di razza, ma non d’immigrazione. Al limite, l’immigrazione potrebbe non esser mai avvenuta: potrebbero esser venuti solo gruppi di persone. Inoltre, ci potrebbero essere state distinte immigrazioni, scaglionate o meno, di genti diverse venute sia da Lemno, sia da Troia, sia dalla Misia e sia dalla Lidia. Così, la federazione etrusca potrebbe esser stata composta da gruppi di città diverse per origine, ma con un DNA poco diversificato. E’ verosimile che gli antichi abitanti dell’ Anatolia (Troiani, Misi, Lidi, ecc. ) avessero caratteristiche genetiche simili, così come oggi le hanno i vari abitanti delle varie regioni della Turchia, eredi di quei popoli. Bisogna pure considerare che nel DNA degli attuali “Etruschi” ci sono anche somiglianze con quello dei Siriani e dei Giordani che sono largamente di stirpe semitica. Questo allarga smisuratamente il campo della ricerca e ci riporta a considerare sia il problema della lingua Etrusca, ritenuta a volte indoeuropea, altre mediterranea ed altre semitica. Il fatto poi che parte della Turchia rientri nei territori dell’antico impero Ittita, e che assieme a Siria e Giordania confini e in parte rientri nell’antica Mesopotamia, madre dell’aruspicina, ci riconduce al problema dell’origine dell’Aruspicina Etrusca, e con ciò pure a quello di una possibile origine mediorientale del popolo etrusco.
    Più specifica è invece la somoglianza del DNA dei Toscani con quello degli abitanti delle isole Egee, come Lemno e Rodi. La popolazione di Lemno, dice Torroni, è “un’eccezione nel panorama genetico con le particolari caratteristiche che la distinguono sia dalle moderne popolazioni europee che da quelle del Vicino Oriente”.
    Come si vede, le attuali scoperte genetiche non hanno risolto il problema delle origini etrusche, come i media fanno credere, ma lo hanno allargato. Certo, quelle scoperte ci danno un punto fermo: il DNA degli Etruschi ha somiglianze con quello dei popoli del vicino Oriente, e con quello degli abitanti delle isole Egee.
    Per render produttiva in campo storico questa certezzza bisognerà inserirla nello studio dei moderni reperti archeologici, delle caratteristiche della lingua, e delle antiche fonti storiche e letterarie che rapportavano fra loro Etruschi e popoli orientali; e sarà pure importante indagare cosa mai gli Etruschi ritenessero sulle proprie origini.

    GLI ETRUSCHI E TROIA. Licofrone (IV-III sec. a.C.) disse che Tarconte e Tirreno furono figli di Telefo e di Astioche, sorella di Priamo re di Troia; essi si sarebbero stabiliti in Etruria insieme ad Enea (8). Virgilio, poi, dirà che Dardano era emigrato dalla etrusca città di Corito (Tarquinia) nelle isole Egee e da qui in Asia dove i suoi nipoti fonderanno Troia. Dopo la rovina di Troia, gli dèi imporranno ad Enea, discendente di Dardano, di riportare i Troiani in Etruria a Corito (Tarquinia) perché questa era la loro antica madre (Aen. III, 360). Qui Enea si incontrerà con Tarconte (VIII, 560) che gli cederà il comando della lega Etrusca (X, 180); e insieme a lui scenderà da Corito (Tarquinia) a cercare una nuova sistemazione. L’iconografia di specchi, vasi e anelli etruschi testimonia che gli Etruschi credevano anche in questa parentela. Fra i tanti documenti, citiamo qui a) uno specchio (IV-III se. a.C.) dove è raffigurato Tarconte a colloquio con Priamo re di Troia (CES Great Britain II, 17); b) il castone di un anello (fine VI sec. a.C.) dove si raffigura Enea che trasferisce su una spalla in Etruria il padre Anchise insieme al cesto dei Penati di Troia (LIMC,s.v. Aineia); c) un altro castone d’anello, fatto dallo stesso autore del precedente, dove si vede Enea che trasferisce su una spalla in Etruria l’effige di sua madre Turan (Zazoff 45), nome etrusco di Venere: il nome è etrusco a significare l’origine etrusca dell’eroe.

    GLI ETRUSCHI E LEMNO. Mirsilo di Lesbo (III sec. a.C.) raccontava: “ I Tirreni, lasciata l’Etruria, assunsero nel corso del loro continuo vagare, il nome di Pelargi a somiglianza degli uccelli chiamati Pelasgi (cicogne) perché come questi migrano a stormo per la Grecia e nelle regioni dei barbari. Essi innalzarono pure il muro di cinta che circonda l’acropoli di Atene, il cosiddetto Muro Pelagico” (3). Questi emigranti, diceva Strabone (V 2,2), erano partiti dal porto di Regisvilla, alla foce dell’Arrone, sul confine fra Tarquinia e Vulci, e si erano recati ad Atene guidati da Maleoto (donde il nome del porto tarquiniese di Maltano attiguo a quello di Regisvilla), il cui regno si estendeva fino a Cere. Scacciati da Atene, quei Tirreni o Pelasgi si recarono nelle isole Egee (Lemno, Imbro, Lesbo, Samotracia) e sulle coste dell’Asia minore (Cizico, Placia e Scillace), dove introdussero la religione dei Misteri (4), come il Dardano virgiliano. Secondo Menacrate di Elea, tutta la costa Ionica dell’Asia minore, a cominciare dal promontorio di Micale, dinanzi all’isola di Samo, era stata abitata dai Pelasgi, e pelasgiche erano state pure tutte le vicine isole. Riferiva poi che gli abitanti dell’isola di Chio dicevano di essere di origine pelasgica, e che quelli dell’sola di Lesbo si vantavano di discendere da Pileo, l’uomo che, secondo Omero, aveva portato da Larissa un contingente di Pelasgi in soccorso di Troia (5). Pelasgi, secondo Conone erano gli abitanti dell’isola di Antandro, davanti alla Troade (Narrazioni, 61) .
    Anticlide (III sec. a.C.) poi disse che i Pelasgi per primi colonizzarono Lemno, e che alcuni di loro vennero in Etruria assieme ai Lidi di Tirreno (6). Si diceva pure che i Tirreni dalla Tessaglia si fossero trasferiti nella Lidia, e da qui fossero venuti in Etruria.
    Nel 501 a.C., l’ateniese Milziade scacciò i Pelasgi dalle isole di Lemno e di Imbro. Gli abitanti di Efestia furono trasferiti nella penisola Calcidica. Quei di Myrina (lemnio Morina), invece andarono in cerca d’una difficile sistemazione. Col tempo, questi eventi furono mitizzati e confusi con migrazioni più antiche di altri Pelasgi che dalla Tessaglia avrebbero emigrato parte a Creta e parte in Etruria. Così da una parte si raccontò che i Lemni, scacciati dalla loro isola, si fossero recati prima nell’Argolide e poi a Creta sotto la guida di un condottiero chiamato Polis, come era avvenuto per i discendenti degli Argonauti guidati da Liparo. E’ possibile che anche chi diceva che gli abitanti di Lemno fossero venuti in Italia assieme ai Lidi di Tirreno, avesse mitizzato la reale migrazione dei Lemni avvenuta nel 501 a.C. Noi non vogliamo negare che gli abitanti di Lemno possano esser venuti in Etruria in epoca mitica, però è anche possibile che, quando essi furono espulsi dalla loro isola, gli inquieti abitanti di Morina siano venuti infine a rifugiarsi in Etruria agli inizi del V sec. a.C. E’ dopo questa data che a Tarquinia e nel Tarquiniese troviamo l’onomastico Lemni (7); nella forma latina Lemnius lo si ritrova poi a Pisa. Ancora a Tarquinia e a Chiusi troviamo il gentilizio Murina. Sempre a Tarquinia, poi, Laris Pulena, si vantava di discendere da un antenato greco chiamato Pule, che è la traslitterazione etrusca di Polis, nome lemnio d’origine tracia.
    Etalia (nera di fumo), poi, era il nome dato sia a Lemno che all’etrusca Isola d’Elba.
    Non è senza motivo che Erodoto (I,51) notò che le residue popolazioni pelasgiche dei suoi tempi parlavano una lingua diversa dal Greco. Oggi, dopo la scoperta di alcune epigrafi trovate nell’isola di Lemno si è scoperto che quella lingua era simile all’etrusco. Recentemente, i genetisti hanno pure evidenziato un legame con punte del 17,5% fra il patrimonio genetico degli attuali “Etruschi” della Toscana e quello di alcune popolazioni del vicino Oriente (Turchia, Giordania e Siria) e delle isole Egee (Lemno e Rodi); ed è interessante che, in particolare, gli abitanti di Lemno, siano “un’eccezione nel panorama genetico con le particolari caratteristiche che li distinguono sia dalle moderne popolazioni europee che da quelle del Vicino Oriente”.
    Così, le somiglianze genetiche dei Toscani coi Lemni (e quindi con gli antichi abitanti delle isole Egee davanti a Troia (Imbro e Samotracia), e con le stesse città asiatiche (Cizico, Larissa, Placia, Scilace, Antandro) vicine a Troia, ha caratteri di specifico interesse storico. Si diceva, peraltro, che Dardano avesse fondato Troia, e che sua moglie Morina avesse fondato Morina, capoluogo di Lemno. Murina è anche un gentilizio persente a Tarquinia e Chiusi. Dunque, le leggendarie scambievoli migrazioni fra l’Etruria, le isole Egee e Troia, raccontate dagli storici antichi, e cantate da Virgilio, potrebbero avere qualche fondo di verità.

    GLI ETRUSCHI, TARQUINIA E I LIDI. Erodoto disse che Tirreno, figlio di Ati re della Lidia, condusse una colonia dalla Lidia in Italia. Strabone aggiunse che egli “fondò dodici città assegnando loro come ecista Tarconte dal quale prese il nome la città di Tarquinia” (V, 2,2).
    Per Licofrone, però, Tarconte e Tirreno erano figli di Telefo, re della Misia, e di Astioche sorella di Priamo re di Troia: essi vennero a stabilirsi in Etruria insieme ad Enea; e Tirreno diede il nome alla regione e Tarconte a Tarquinia (8).
    Quando poi Tarconte, scrisse Cicerone (Div. II,50), vide nascere il divino Tagete dalle zolle della terra di Tarquinia, chiamò sul luogo tutti i capi delle città federate. Tagete dettò allora le norme della divinazione, e Tarconte le trascrisse in un poema che i Romani chiamarono Libri Tagetici. In questi Libri, Tarconte disse d’essere un aruspice già istruito dal lidio Tirreno; e nella parte che riguardava gli auspici sui terremoti accennò a mali che potevano avvenire nella “nostra Lidia” (9).
    Ora, se i Tarquiniesi produssero il mito del bambino che nasce dalla terra, dovettero credere d’essere autoctoni, però ritenevano anche d’aver avuto apporti di gente venuta dalla Lidia. A quel tempo, peraltro, la Lidia comprendeva anche la Troade e la Misia; e tutte e tre parlavano lingue simili fra loro. Lo stesso Erodoto riferì d’una mitica parentela fra Misi e Lidi, e ricordò che si diceva che Miso fosse fratello di Lido. Lo storico Tacito riferiva che gli abitanti della Lidia esibirono al Senato Romano un “decreto degli Etruschi” dove questi dichiaravano di discendere dai Lidi (Ann. IV,5).
    A Gravisca, porto di Tarquinia, è stata rinvenuta un coppa di VI secolo appartenente a un lidio chiamato Pactyes. Si tratta dell’unico documento archeologico, finora rinvenuto, della presenza di Lidi in Etruria, e potrebbe non essere un caso che sia stato rinvenuto proprio a Tarquinia. Pactyes era il ricco tesoriere di Creso re della Lidia, del quale parla Erodoto (I, 153-61); e Grass sostiene che costui andò in esilio a Gravisca e vi morì. Chiunque egli fosse, la sua presenza a Tarquinia dovrebbe essere significativa di un più ampio e antico scambio di relazioni. D’altronde, durante il VI sec. a.C., il porto di Tarquinia fu meta esclusiva in Etruria di un grandissimo numero di mercanti provenienti dalle coste Anatoliche, specialmente da Focea, e dalle prospicienti isole Egee. In quel periodo fu forse importato il Bos taurus, i cui resti ossei sono frequenti a Gravisca.
    Se ci furono migrazioni dall’Oriente in Etruria, la loro prima meta dovette esser Tarquinia. Da lei, poi, iniziò la conquista della regione. Su incarico di Tirreno, Tarconte fonda Tarquinia e, in subordine tutte le città dell’Etruria. Infine fonda quelle della Padania. Lo scrittore etrusco Aulo Cecina disse: “Tarconte, dopo aver varcato l’Appennino con l’esercito, dapprima fondò la città che allora chiamò Mantova dal nome che il padre Dite ha nella lingua etrusca […]. Lì ordinò il calendario, e parimenti consacrò il luogo dove fondare 12 città”; e Verrio Flacco, autore d’una Storia Etrusca, ripeté: ”Tarconte, varcato l’Appennino, fondò Mantova” (10)
    I dati archeologici confermano la tradizione. Dice Torelli: “L’importasnza e lo spessore storico di questa fase formativa nell’area tarquiniese, tra Bronzo finale e prima età del Ferro, trasferiti nella sfera della trattazione mitostorica, si incarna nella figura di Tarconte, ecista di Tarquinia, dell’Etruria propria e di quella Padana” (11). Ciò spiega la presenza nella valle Padana di ceramica molto antica, ma posteriore a quella dello stesso tipo che si ritrova a Tarquinia.
    Grazie! ALBERTO PALMUCCI
    (1) “American Journal of Human Genetics”, 74, 2004, pp. 694-2004; (2) A. Achilli e altri, Mitochondrial DNA Variation of Modern Tuscans Supports the Near Estern Origin of Etruscans, “American Journal of Human Genetics”, 8 aprile, 2007, pp.759- 768. (3) In Dionigi Alicarnasso, AR, I,23; 28. (4) Erodoto, I,57; II, 51. (5) Strabone, XIII,3. (6) In Strabone, V,2,4. (7) CIE 5447; 5643; 5692. (8) Lyc. Alex. 766; Tzetze, ad loc.; Servio, ad Aen. VIII,558; X, 198; ad Buc. VI,72). (9) Giovanni Lido, De Terremotibus, 58. (10) Scholia Veronensia ad Aen. X,200. (11) M.Torelli, Storia Etuschi, 1981, p.43.

  2. ETRUSCHI DNA TARQUINIA ORIGINI

    di Alberto Palmucci

    E’ stato recentemente appurato che il DNA di alcune popolazioni germaniche ha qualche somiglianza con quello degli Etruschi . Ma quel che ha suscitato scalpore è che si è anche trovato che il DNA degli abitanti del vicino Oriente (Turchia, Siria, Giordania) assomiglia a quello degli Etruschi e dei Toscani. Anche il DNA di coloro che abitano nelle isole del mar Egeo (Lemno e Rodi) è simile a quello degli odierni “Etruschi “; esso è però diverso da quello di Turchi, Siriani e Giordani . In uno studio parallelo è stato poi riscontrato che anche i bovini di Turchia, Siria e Giordania hanno somiglianza genetica con quelli toscani di razza Chianina e Maremmana . Ringrazio il prof. Guido Barbujani e il prof. Antonio Torroni, conduttori delle equipe indagatrici, per avermi inviato gli originali testi inglesi delle loro pubblicazioni, ed avermi liberato dalle confuse informazioni che avevo avuto dai media.
    Per render tutto questo produttivo in campo storico occorre riesaminare il materiale archeologico e linguistico, nonché le antiche fonti letterarie che trattano delle origini degli Etruschi.
    Si raccontava che Maleoto (o Maleo), in epoca anteriore alla guerra di Troia, condusse dal porto di Regisvilla (fra Tarquinia e Vulci) ad Atene una colonia di Pelasgi . Era questo il nome, spiegava Mirsilo di Lesbo, che i Greci avevano dato ai Tirreni perché “questi migravano a stormo, come cicogne (Pelargoi), dall’Italia in Grecia e in molte regioni dei barbari” . Si diceva che Maleoto fosse “Imperatore dei Tirreni”, avesse inventato la tromba (come il lidio Tirreno!) e il vino, fosse diventato re degli Argivi e tiranno di Atene, ed avesse scorrazzato per le isole Egee . Si dovette anche dire che egli avesse approdato in Lidia, e che vi avesse dimorato, perché una fonte lo presenta come figlio di Ercole e di Onfale lidia (come il lidio Tirreno!) . Si diceva che tutta la costa Ionica dell’Asia minore, a cominciare dal promontorio di Micale, era stata abitata dai Pelasgi, e pelasgiche erano state pure tutte le vicine isole come Chio ed Antandro .
    I Pelasgi, racconta Erodoto, introdussero ad Atene e da qui a Samotracia, a Lemno e nelle altre isole Egee il culto dei Grandi Dèi. Diodoro Siculo aggiunge poi che Dardano, da Samotracia introdusse il culto in Asia minore dove i suoi discendenti fondarono Troia .
    Da questo panorama mitostorico Virgilio trasse una tradizione secondo cui Dardano dalla tirrena città di Corito o Corinto (Tarquinia) emigrò prima a Samotracia, e poi in Asia, dove introdusse il culto dei Grandi Dèi e diede origine a Troia .
    Già Erodoto notò che ai suoi tempi le residue genti pelasgiche della Grecia e dell’Anatolia settentrionale parlavano ancora una incomprensibile lingua diversa dal Greco . In tempi moderni, poi, nell’isola di Lemno, e stata trovata una stele scritta in una lingua simile all’etrusca, e in un alfabeto simile a quello dell’Etruria meridionale donde la tradizione faceva venire gli abitanti dell’Isola. Da poco, infine, s’è scoperto che il DNA degli abitanti di Lemno somiglia a quello degli Etruschi ancor più di quanto somigli a quello dei popoli Anatolici. C’è la possibilità che la tradizione virgiliana avesse attinto a fonti che riproducevano in forma mitica una qualche verità storica.
    Le migrazioni, secondo Dionigi d’Alicarnasso, sarebbero iniziate due generazione prima della guerra di Troia, cioè attorno al 1250 a.C.
    In quello stesso periodo, come si legge nei geroglifici del tempio di Karnac, in Egitto, il faraone Merneptah, durante il quinto anno del suo regno (1232 a.C.) riportò una vittoria contro una coalizione composta da Libici e Popoli del Mare, fra cui i TWRWSH (varianti Twrjsh.w, Twjrshh.w). Questi ultimi, si specificava, erano venuti, via mare, dal nord, ed avevano tentato di invadere l’Egitto dai confini occidentali.
    L’Egitto non era l’unica mira dei Popoli del Mare. Essi invasero l’Anatolia, e provocarono la fine dell’impero ittita.
    Gli Ittiti erano un popolo indoeuropeo entrato in Anatolia attorno al 2000 a.C. le loro supreme divinità maschili erano Tarhu (detto anche Tarhunta), dio della tempesta, connesso anche alle pratiche di aruspicina, e suo figlio Telepino, dio della fertilità. Molti re ne portarono il nome. Regioni vassalle dell’impero furono Wilusa (Ilio-Troia), Arzawua (la futura Lidia), Shea (la futura Misia), ecc. Fra i re di Shea spiccarono Tarhunta e suo figlio Telepino. Questo ultimo in una occasione difese Wilusa (Ilio-Troia). Attorno al 1300, la capitale dell’impero divenne Tarhunta-ssa, la città del dio Tarhunta ; ed ebbe sovrani che si chiamavano variamente Tarhunta e Curunta.
    Dal quinto e all’undicesimo anno del regno di Ramses III, cioè dal 1193 al 1187 a.C., alcuni dei vecchi popoli del mare ed altri nuovi tentarono una seconda invasione dell’Egitto, ma furono ancora fermati. Nei geroglifici del tempio di Medinet Habu si spiega che alcuni contingenti “giunsero per mare e per terra”, mentre altri vennero “dalle isole centrali del mare”. Fra questi ultimi sono elencati i Twrwsh. Questi, si dice, con ulteriore specificazione, “venivano dal mezzo del mare” . Questi popoli, dunque, Twrwsh compresi, dovettero retrocedere nelle loro isole del mar Egeo, e in Anatolia nelle terre del già invaso impero ittita.
    Alcuni studiosi hanno accostato il nome dei Twrwsh a quello dei Turski o Tusci ovvero Tyrse-noi o Tyrrhe-noi che sono i nomi antichi coi quali rispettivamente gli Umbri, i Latini e i Greci chiamavano gli Etruschi . Gli storici greci conoscevano, infatti, come abbiamo già visto, genti tirrene d’origine etrusca che avevano abitato varie isole dell’Egeo fra cui Lemno e Samotracia. Ma quel che rende produttivo l’accostamento è il fatto che, dopo i tempi oscuri che seguirono la fine dell’impero ittita invaso dai Popoli del Mare, sulle coste occidentali del disfatto impero nacquero regni che nella famiglia dei loro primi re vantavano personaggi che si chiamavano Tirseno o Tirreno (gr. Tyrsenos; Tyrrhenos; cfr. TWRWSH). Oggi, poi, si è scoperto che il DNA degli attuali “Tirreni” d’Italia somiglia a quello degli attuali “Tirreni” delle isole Egee di Lemno e di Rodi.
    A ottanta miglia marine da Lemno, sul luogo dell’antico regno anatolico di Shea, troveremo la Misia governata da Telefo. Si diceva che egli fosse nato nella terra del re Corito o Corinto (come Dardano!), in Arcadia, e ne fosse figlio adottivo. Era poi emigrato nella Misia, ed aveva sposato Astioche e Laodice, rispettivamente sorella e figlia di Priamo re di Troia. Ebbe tre figli:
    · Euripilo, che durante l’assedio posto a Troia dai Greci, condusse un esercito di Ittiti in soccorso della città.
    · Tarconte (cfr. Tarhunta) e Tirseno (cfr. Twrwsh), che dopo la guerra di Troia, vennero in Etruria, dove si unirono ai profughi troiani portati da Enea. Tarconte fondò Tarquinia, e Tirreno fondò Cere. Nei graffiti di una specchio etrusco di III sec. a. C. si vede Tarconte a colloquio con Priamo re di Troia.
    Secondo una tarda variante, Telefo stesso, prima della fine di Troia, venne in Italia dove assunse il nome di Latino, si stanziò nel Lazio, ed accolse Enea venuto da Troia.
    Verosimilmente, Tarconte (cfr. Tarhunta) rappresenta l’elemento anatolico, Telefo (cfr. Telepino) e Tirreno quello immigrato e nuovamante emigrato.
    Parallelamente, sul luogo di Arzawua troveremo la Lidia e la città di Tyrsa (cfr TWRWSH). Secondo Xanto di Lidia (iniz. V sec. a.C.), il re Ati, agli inizi della nazione, divise il regno tra i figli Lido e Torebo. Questi diedero il loro nome ai popoli che governavano; e “da Lido discesero i Lidi, e da Torebo i Torebi”. Erodoto (V sec. a.C.) disse invece che Ati, in seguito a una carestia, divise il popolo fra sè e suo figlio Tirreno (cfr. TWRWSH), e lo fece emigrare. Costui, giunto in Italia, chiamò Tirreno il suo popolo. Evidentemnte, Ati e Lido rappresentano l’elemento anatolico della nazione, e Torebo quello tirreno integrato; Tirreno, infine, rappresenta l’elemento tirreno non integrato e quindi indotto a emigrare . Si ricordi la figura del tirreno Maleoto che da una parte è quella di colui che inventa la tromba tirrena (come Tirreno!) e conduce i Tirreni dall’Italia nel bacino orientale del Mediterraneo, e dall’altra è un lidio figlio di Ercole e di Onfale (come Tirreno!) che introduce la tromba tirrena fra i Dori della Grecia.
    Residue popolazioni tirreniche vivevano in Anatolia ancora nel II sec. d.C. come dimostrano le epigrafi trovate presso il lago di Ascanio .
    Abbiamo già visto che gli storici greci conoscevano genti tirrene d’origine etrusca che avevano abitato varie isole dell’Egeo fra cui Lemno e Samotracia. Costoro, si diceva, erano partiti dal porto di Regisvilla (fra Tarquinia e Vulci) un paio di generazioni prima della guerra di Troia. Anche Virgilio, nell’Eneide, sostenne che i Tirreni, dalla città etrusca di Corito (oggi Tarquinia) si erano recati nell’isola di Samotracia, nel Mar Egeo, e da qui sulle coste dell’Asia dove avrebbero fondato Troia. Sempre Virgilio dirà che sarà poi questo il motivo per cui Enea, nipote di Dardano tirreno, dopo la rovina di Troia, ricondurrà i Troiani a Corito (Tarquinia), centro federale dove con Tarconte lo incoronerà capo della Federazione Etrusca.
    Chi era Tarconte?
    Secondo Licofrone (IV-III sec. a.C.) Tarconte e Tirreno erano figli di Telefo re della Misia (a sua volta figlio di Ercole o di Corito) e di Astioche sorella di Priamo re di Troia. Si ricordi che nella Misia ittita avevano regnato sia un Tarhunta che un Telepino; e che Tarhunta aveva portato soccorso a Wilusa (Ilio-Troia). Tirreno rappresenta certo l’elemento tirreno emigrato in Anatolia al tempo dei popoli del mare; e nel mito è il simbolo del ritorno.
    Secondo Strabone, invece, che sviluppava il racconto di Erodoto, Tirreno è nipote di Ercole e di Onfale (come Maleoto!), viene dalla Lidia (che comprendeva le antiche Arzawa e Tarhuntassa, la città del dio e del re Tarhunta, capitale dell’impero ittita) ed incarica Tarconte (vd. Tarhunta) di fondare tutte le città dell’Etruria. Questi fonda Tarquinia (etr. Tarchu-na) e le dà il proprio nome (vd. et. Tarhu-nta-ssa = la città di Tarhunta) e in subordine tutte le altre città dell’Etruria e della Padania. Anche in questa migrazione, dunque, Tarconte dovrebbe rappresentare l’elemento anatolico, e Tirreno quello tirreno già emigrato in Anatolia. Si ricordi la figura del tirreno o pelasgio Maleoto che da una parte è quella di colui che conduce i Tirreni dall’Italia nel bacino orientale del Mediterraneo, e dall’altra è un lidio figlio di Ercole e di Onfale.
    Sembra proprio che il tema del ritorno a Corito Tarquinia (etr. Tarchu-na; cfr. luv. Tarhunta-ssa) dei Tirreni, cantato da Virgilio, espliciti il comune denomitatore di tutte le tradizioni.
    A Gravisca, porto di Tarquinia, è stata rinvenuta un coppa di VI secolo appartenente a un lidio chiamato Pactyes. Si tratta dell’unico documento archeologico, finora rinvenuto, della presenza di Lidi in Etruria, e potrebbe non essere un caso che sia stato rinvenuto proprio a Tarquinia. Pactyes era il ricco tesoriere di Creso re della Lidia, del quale parla Erodoto (I, 153-61); e Grass sostiene che costui andò in esilio a Gravisca e vi morì. Chiunque egli fosse, la sua presenza a Tarquinia dovrebbe essere significativa di un più ampio e antico scambio di relazioni. D’altronde, durante il VI sec. a.C., il porto di Tarquinia fu meta esclusiva in Etruria di un grandissimo numero di mercanti provenienti dalle coste Anatoliche, specialmente da Focea, e dalle prospicienti isole Egee. In quel periodo fu forse importato il Bos taurus, i cui resti ossei sono frequenti a Gravisca.
    Sembra, poi, che tra i frammenti degli Scholia Veronensia all’Eneide (X,194) si possa rinvenire un cenno ai apporti fra Gravisca e una regione dell’Asia.
    Per le relazioni della Lidia con l’Etruria potrebbe aver qualche significato anche la presenza in alcune epigrafi lidie di una lettera a forma di 8 con suono di F, che trova corrispondenza nell’alfabeto etrusco a partire dal VI sec. a.C. Pare inoltre che all’evoluzione grafica di quel segno in Lidia corrisponda la stessa evoluzione in Etruria. Indizio possibile questo d’una continuità di contatti.
    Se ci furono migrazioni dall’Oriente in Etruria, la loro prima o più importante meta dovette esser Tarquinia. Una ragione in più sta nel fatto che è da questa città che poi iniziò la conquista della regione. Sul piano mitostorico, Tarconte, venuto dall’Oriente, fonda Tarquinia e, in subordine, tutte le città dell’Etruria e della valle Padana. Sul piano archeologico, il primato dell’area che apparterrà alla lucumonia di Tarquinia si era già manifesta dal XIV secolo coi contatti col mondo miceneo documentati dalla ceramica di monte Rovello, San Giovenale, Blera, e da uno specchio rinvenuto in una tomba della stessa Tarquinia. Per l’età compresa fra Bronzo finale e primo Ferro, l’insediamento del Calvario, sul colle di Corneto (Tarquinia), è il più vasto che si conosca. Il materiale, poi, ritrovato nella sua necropoli è più antico e ricco di quello che dello stesso tipo si ritrova nella restante Etruria e nella Padania.
    IL PROBLEMA DELLA LINGUA

    Pallottino scriveva che nell’Etrusco coesiste “una struttura grammaticale parzialmente affine all’indoeuropea con un fondo di vocabolario assolutamente estraneo all’indoeuropeo e privo di qualsiasi riscontro conoscibile” .
    In questi casi, ove si presuma la venuta di gente straniera, i linguisti ritengono che la struttura grammaticale derivi dalla lingua degli immigranti, mentre il lessico di substrato sia quello della popolazione locale. Hencken ritiene che, nel caso dell’Etruria, agli inumatori dell’età del Bronzo si siano sovrapposti gli incineratori indoeuroperi dell’età del Ferro venuti via mare da nord e approdati a Tarquinia . C’è chi dice invece che gli immigrati erano venuti dal vicino Oriente. Se, come le analisi genetiche dell’equipe di Barbujani hanno dimostrato, il DNA degli scheletri Etruschi ha qualche affinità anche con quello di alcune odierne popolazioni germaniche, entrambe le provenienze dovrebbero aver concorso alla formazione del popolo etrusco.
    Per quanto riguarda la componente orientale, il noto glottologo bulgaro Vladimir Georgiev ha analizzato il nome Etruria, ed ha sostenuto che questo deriverebbe dal più antico nome portato da Troia (itt. *Trusia > lat. E-truria); non solo, ma la lingua etrusca, a suo avviso, deriverebbe da un dialetto ittito occidentale parlato a Troia e nell’isola di Lemno. Il nome di Tarquinia, per esempio, e di Tarconte deriverebbero da quello “della suprema divinità ittito-luvia, Tarhun(t)a” .
    Dalle premesse linguistiche, il Georgiev ha conseguito che, dopo la rovina di Troia, gran parte dei suoi abitanti emigrarono in più parti, sì che lo stato troiano si ridusse ad un piccolo territorio costituito dalla Troade meridionale, da una parte della Misia occidentale, dalla Lidia settentrionale e da alcune isole vicine come Lemno e Imbro. Il ricordo della migrazione fu così conservato come una leggenda lidia nel racconto di Erodoto. Al tempo di questo storico (V sec. a.C.), infatti, la Lidia comprendeva la Troade e la Misia; e tutte e tre parlavano lingue simili fra loro.
    La colonizzazione dell’Etruria, dice il Georgiev, non avvenne direttamente e non riguardò tutto il popolo troiano. Una parte di esso andò a stabilirsi presso gli Elimi della Sicilia, e solo più tardi emigrò in più tempi e a gruppi isolati “in alcune zone delle coste dell’Etruria a Tarquinia, Cere, ecc.”. A poco a poco i Troiani si integrarono nella popolazione locale influenzandola e restandone influenzati .
    Dopo il Georgiev, altri studiosi, come Francisco Adrados e Onofrio Carruba , hanno riscontrato nell’Etrusco notevoli componenti delle lingue indoeuropee dell’Anatolia, quali l’Ittito, il Frigio, il Licio ed in minor misura il Lidio.

  3. Molto interessante l’articolo di Alberto Palmucci sul DNA degli etruschi . Pur essendo farmacista mi interesso da anni della storia di questo popolo e della loro lingua , sono in contatto epistolare con il prof Pittau di Cagliari . Io ho 73 anni ed ho avuto come compagno di studi un Alberto Palmucci al Collegio San Giuseppe di piaza di Spagna a Roma. Si tratta forse della medesima persona?

  4. (Sorry. I write in English because I do not speak Italian…)

    I believe that three different peoples were mixed to constitute the Etruscan nation: 1) an autochthonous population of the Bronze Age that had developped the Apenninic culture, 2) the Indoeuropean tribe of the Umbrians who came from the north-east and introduced the Villanovian culture in Tuscany, and 3) the Aegean-Anatolian sailors that colonized this Italian land from 800 BC and were called Tyrrenians by the Greeks.

    The latter people had a more advanced culture and therefore became the main ethnic element in this mixture, gaining the control of Tuscany and ruling over the other peoples as a social elite; they surely spoke a non-Indoeuropean language from the Aegean that can be called Pelasgian and was also the language of the ancient Lemnians, although the Etruscans also assimilated in their Pelasgian language other Indoeuropean words from Anatolian languages such as the Luvian, the Lydian and the Umbrian.

    Alberto Palmucci suggests a migration of some hypothetical Tyrrenians/Pelasgians of Italian origin to the Aegean-Anatolian world at the end of the Bronze Age, and explains the origin of the Etruscans as the return of that people to their ancestric land in Tuscany. This thesis, mainly based on the tales written by Myrsilus and Virgil, is very problematic, as there are not archaeological data that show the arrival in western Anatolia of an Italian people during the 13th to 9th century BC. The foreign elements that appear in the Anatolian material culture during that period are of Balkanic origin and they are clearly related to the Phrygian migration. With regard to the mythic ancestor of the Trojans, called Dardanus, the only narration that considers him of Italian origin is the Virgil’s Aeneida. Seeing that Troy and the Trojan culture already existed in about 3000 a C, this fabulous migration of Dardanus from Italy to the Troad should have happened by the end of the IV millenium BC, 1800 years before the age proposed by Palmucci. However, if the legendary arrival of Dardanus were related to a refoundation of Troy, the Italian origin of some population who lived in the archaeological stratum Troy-VII must be proved.

    Carlos Moreu
    Author of the book titled “La Guerra de Troya, más allá de la leyenda” (Editorial Oberon, 2005) and the blogs http://www.sea-peoples.blogspot.com.es and http://www.pueblos-del-mar.blogspot.com.es

  5. Alberto Palmucci

    IL DNA DEGLI ETRUSCHI E LE MIGRAZIONI DALL’ORIENTE

    Quanto segue riprende ed aggiorna allo scopo attuale una parte di quanto da me già esposto nel numero 62/63 di “Aufidus” (Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’ Università di Bari; Dipartimento di Studi del Mondo Antico dell’Università di Roma Tre)

    In data 06/02/2013 la rivista Plos (Università di Wisconsin, USA) ha pubblicato su Internet il saggio compilato in lingua inglese da un’equipe di genetisti coordinata da Guido Barbu-jani e da David Caramelli. Dalla lettura dei risultati degli esami scientifici pubblicati nel te-sto non si ricava affatto che negli ultimi secoli del secondo millennio avanti Cristo non ci possano essere state una o più migrazioni di gruppi di persone (Troiani, Misi, Lidi e Pela-sgi) che dall’Anatolia vennero nell’Italia centrale tirrenica costituendo così il contributo e-sterno alla formazione dell’etnos di quella nazione che i Romani chiameranno Etruria. Dal-la relazione dell’equipe dei genetisti, l’autoctonia degli Etruschi, così come sbandierata dai media, non è affatto evidente, anzi se ne può ricavare il contrario. Per spiegarlo non sa-rebbe corretto produrre una serie di enfatiche affermazioni o negazioni come fanno i me-dia; ma, poiché, si tratta di cercare di capire quale possa essere stata l’origine o comun-que la formazione della più antica civiltà fiorita sul suolo italico, abbiate la bontà e la pa-zienza di leggere tutta la digressione che vi presento.
    A cominciare dal 1987 noi abbiamo condotto un prolungato studio sull’Eneide di Virgilio ed i suoi antecedenti mitostorici. In modo particolare, abbiamo esaminato la tradizione della consanguineità degli Etruschi di Corito Tarquinia con i Troiani. I risultati furono via via pubblicati soprattutto dalla Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, dalle Università di Innsbruck, di Genova, di Bari e Roma Tre.
    Nel 1994, i genetisti Luigi Cavalli Sforza e Alberto Piazza, unitamente all’ecologista Paolo Menozzi hanno reso noto che le caratteristiche genetiche di coloro che oggi, in Italia, vivo-no nella regione dell’antica Etruira sono notevolmente diverse da quelle degli altri Italiani. Con ciò, essi ritenevano possibile che gli Etruschi fossero un popolo immigrato, come pro-posto dalla tradizione della parentela con i Troiani, e concludevano che dati più attendibili potrebbero venire dall’esame genetico degli abitanti delle presunte originarie regioni.
    Al Congresso Internazionale Anatolisch und Indogermanisch (Anatolico ed indoeuropeo), tenutosi presso l’Università di Pavia nel 1998, noi abbiamo portato un contributo dal titolo Tarconte, un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, dove presentavamo una lunga serie di documenti testimonianti che gli Etruschi, a torto o a ragione, ma forse a ragione, ritene-vano d’essere imparentati con i Troiani. In quella stessa occasione facevamo rilevare che il nome di Tarconte, fondatore eponimo di Tarquinia (etr. Tarchuna), venuto dall’Anatolia, trova riscontro in quello del dio anatolico Tarui o Tarhui o Tarhun o Tarhunt. Dai testi ittiti risulta che questo dio era il protettore di Taruisa o *Tarhuisa (Troia) e che da lui la città aveva preso il nome. I nomi di Troia e di Tarquinia deriverebbero dunque da quello della stessa divinità.
    Sul merito di quell’intervento, Robert Beekes, professore all’Università di Leiden (Olanda), scrisse: “Palmucci sostiene che ci sono prove che la storia di Enea in Italia fu preceduta da una versione dove il viaggio da Troia ebbe per meta l’Etruria. Se ciò è vero, è di grande importanza: quando i Romani dicevano di venire da Troia, quella storia non sarebbe stata romana, bensì etrusca”.
    In un nostro susseguente lavoro su L’origine degli Etruschi nelle fonti Etrusche (“BollStas” 2002), noi abbiamo anche auspicato che prima o poi i genetisti dessero una conferma si-gnificativa. E i genetisti l’hanno poi data, sì che in America, Christopher Wilhelm, professo-re alla Mayfield Senior School della California (U.S.A), poté far presente che il lavoro dei genetisti aveva sostanziato la documentazione archeologica e letteraria presentata da Pal-mucci (C. Wilhelm, The Aeneid and Italian Prehistory).
    Nel 2004, infatti, una prestigiosa rivista americana di genetica, seguita nel 2006 da un’altrettanto autorevole rivista inglese, ha pubblicato i dati ottenuti dalla equipe del gene-tista Guido Barbujani durante un’indagine condotta sul confronto tra il DNA mitocondriale degli antichi Etruschi e quello di coloro che oggi abitano in Italia, in Europa, nel Nord dell’Africa e nel Vicino Oriente. Debbo ringraziare Barbujani per avermi fornito i testi inglesi originali delle pubblicazioni, ed avermi così liberato dalle pubblicistiche informazioni che avevo ricevuto dai media.
    Al termine dell’indagine, l’equipe riscontrò che il DNA degli antichi Etruschi ha qualche somiglianza con quello degli attuali abitanti di quelle parti d’Italia corrispondenti alla vec-chia Etruria. Entrambi i DNA, poi, l’antico e il moderno, non presentavano significative so-miglianze con quello delle altre regioni italiane (Sardegna compresa) ed europee. Somi-gliavano però da un lato a quello di alcune attuali popolazioni della Germania e della Cor-novaglia, e dall’altro a quello delle attuali popolazioni delle coste meridionali del Mediterra-neo e del vicino Oriente. I 28 scheletri indagati erano stati prelevati a Tarquinia, Magliano, Castelfranco, Castelluccio, Volterra, Capua ed Adria. Essi provenivano da differenti locali-tà, ma non mostrarono fra loro significative diversità genetiche.
    Da questa omogeneità Barbujani dedusse che i vari popoli che avevano composto la Fe-derazione Etrusca, avessero costituito una nazione etnicamente omogenea. Il fatto poi che le loro caratteristiche genetiche non avessero una grande corrispondenza con quelle degli attuali “Etruschi” gli fece pensare che il DNA degli antichi scheletri indagati appartenesse esclusivamente al ceto dominante derivato dal popolo invasore. Questo ceto avrebbe in-trodotto anche la lingua; e dopo la conquista romana, esso sarebbe scomparso assieme alla lingua. Noi, tuttavia, in un lavoro (“Aufidus” 2007 “62-63”), pubblicato dall’l’Università di Bari e di Roma Tre, gli facemmo presente che la somiglianza del DNA degli Etruschi con quello degli odierni popoli germanici ed orientali poteva anche esser dovuta ad unità di stirpe con l’una o l’altra gente o con entrambe distintamente, e che unità di stirpe e migra-zioni potevano essere anche compatibili l’una con l’altra.
    Nell’aprile 2007, un’equipe guidata dal prof. Antonio Torroni ha pubblicato nella sopra citata rivista americana i risultati di una nuova ricerca. L’equipe ha studiato il DNA mitocondriale di 322 persone toscane abitanti da almeno tre generazioni a Murlo, Volterra e Valle del Casentino, e non imparentate fra loro. Lo ha poi confrontato con quello di altri quindicimila soggetti di cinquantacinque popolazioni dell’Italia, dell’Europa, dell’Africa settentrionale e del vicino Oriente.
    Ringrazio Torroni per avermi inviato il testo inglese della pubblicazione.
    La sua equipe riscontrò una connessione fino al 17,5% fra il DNA degli attuali Toscani e quello degli attuali abitanti del vicino Oriente (Turchia, Giordania e Siria), delle coste dell’Africa del nord e delle isole Egee di Rodi e di Lemno (quest’ultima è dinanzi a Troia). E’ interessante, in particolare, come dice la stessa equipe, che la popolazione di Lemno ha due importanti particolarità. Da un lato ha somiglianze genetiche con i Toscani e dall’altro “è un’eccezione nel panorama genetico per le particolari caratteristiche che la distin-guono sia dalle moderne popolazioni europee che da quelle del Vicino Oriente”.
    Noi osservammo che Lemno è un’isola troppo piccola perché un’eventuale emigrazione in Italia possa aver determinato le caratteristiche genetiche degli Etruschi. Le somiglianze genetiche rendevano invece possibile l’ipotesi di un’emigrazione dall’Etruria a Lemno ed alle altre isole egee senza escludere una migrazione di ritorno. Ciò mi portò a riconsidera-re le affermazioni di certi storici greci secondo cui gli Etruschi colonizzarono Lemno ed al-tre isole Egee fra cui Samotracia. Da qui, poi, secondo la tradizione virgiliana, gli Etruschi di Corito Tarquinia si portarono sulle coste nord occidentali dell’Anatolia, ed addirittura, fondarono Troia. Quest’ultima notizia desta meraviglia perché la civiltà troiana è di gran lunga più antica di quella etrusca. Troia, tuttavia, fu distrutta più volte e più volte ricostruita, prima e dopo gli eventi omerici, e fino all’XI sec. a.C., sì che una gente venuta dall’Italia centrale tirrenica potrebbe aver partecipato ad una delle sue ricostruzioni.
    Nel nostro citato lavoro del 2007, noi facemmo presente sia a Barbujani che a Torroni che non può esser affatto pacifico che ci sia stata un’unica migrazione in un unico tempo. La migrazione potrebbe essere stata scaglionata in vari periodi, o potrebbe essere avvenuta per gruppi di persone come è avvenuto per quelle accadute dall’Europa all’America; non solo, ma ognuna potrebbe aver avuto code. E come le migrazioni per l’America partirono dai diversi Stati dell’Europa occidentale, così potrebbe essere avvenuto per quelle venute in Etruria dal vicino Oriente. Ciò anche perché le tradizioni parlano di varie genti emigrate in Etruria, come Troiani, Misi, Lidi, Lemni e Pelasgi. Così, la federazione Etrusca potrebbe esser stata composta da vari gruppi di città anche diverse per origine, ma con caratteristi-che genetiche poco diversificate.
    Più circoscritta appariva invece la somiglianza dei caratteri genetici dei Toscani con quella degli abitanti delle isole Egee di Rodi e d Lemno (quest’ultima dinanzi a Troia) perché, come abbiamo già detto, l’equipe di Torroni aveva riscontrato che la popolazione di Lem-no è “un’eccezione nel panorama genetico per le particolari caratteristiche che la distin-guono sia dalle moderne popolazioni europee che da quelle del Vicino Oriente”.
    Ricordiamo che Lemno è un’isola che si trova a ca. 25 miglia dinanzi a Troia, e che pro-prio a Lemno sono state trovate alcune iscrizioni in una lingua simile a quella etrusca.
    Per render produttive in campo storico queste evidenze noi proponemmo di inserirle nello studio dei recenti reperti archeologici, delle caratteristiche della lingua, delle antiche fonti storiche e letterarie che rapportavano fra loro gli Etruschi coi popoli orientali sia in linea ascendente che discendente. Noi abbiamo fatto questo studio. Esso è di prossima pubbli-cazione, ed è abbastanza lungo. Non staremo qui a sunteggiarlo per non diventare ecce-sivamente pedanti, ma lo pubblicheremo anche su Internet. Attualmente è ancora parzial-mente valido il vecchio sito http://www.originietruschi.it.
    Il nostro lavoro del 2007 fu molto conosciuto anche perché ripubblicato e aggiornato più volte in Internet. Nel merito, Valeria Forte, docente all’Università di Dallas (Texas, U.S.A.), in una suo lavoro dove riferiva di includere “le opinioni degli etruscologi più rinomati del no-stro tempo, come Pallottino, Palmucci, Munzi ed altri”, scrisse: “Alberto Palmucci, un emi-nente Etruscologo che vive in Italia” ha aperto oggi “un dialogo con studiosi europei ed americani sia in lavori accademici che in blog elettronici … In sostanza, Palmucci introdu-ce un elemento molto avvincente nel dibattito sulle origini Etrusche quando sostiene che noi non dovremmo presumere che un DNA genetico, comune tra Etruschi e popolazioni del Vicino Oriente, provi che l’origine degli Etruschi sia in Asia Minore. Palmucci specifica che gli Etruschi si son potuti muovere dall’Italia verso le terre orientali, e questa migrazio-ne ha potuto prendere la forma di un modello circolare di partenza da e ritorno alle coste italiane. Per convalidare questa ipotesi Palmucci fornisce toponimi, analisi linguistiche, e dati archeologici”. Dopo aver poi ricordato che Palmucci si rifà a “Virgilio, per cui gli Etru-schi partirono da Còrito, più tardi chiamata Tarquinia, emigrarono ad Est e poi tornarono sulle spiagge etrusche”, la Forte conclude “Palmucci è uno dei più attivi classicisti … ed uno che a molti livelli partecipa al dibattito sugli Etruschi. I suoi commenti ed opinioni sono supportati dalla sua impressionante conoscenza della civiltà etrusca: egli li esprime nel blog di Internet dove dibatte con gli esperti di tutto il mondo”.
    Veniamo ora alla relazione pubblicata in data 06/02/2013 dall’equipe coordinata da Barbu-jani e da Caramelli.
    L’equipe ha raccolto 30 esemplari di ossa appartenenti ognuno a differenti individui prove-nienti soprattutto dal’Etruria centro settentrionale, e ne ha esaminato il DNAmt. Ha poi e-saminato quello di 370 moderni toscani (da Casentino, Volterra, Murlo e Firenze), ed ha trovato che l’antico DNA etrusco ha somiglianze con quello degli attuali abitanti di Casen-tino e Volterra, ma non con quello di Murlo e Firenze. Ha così concluso che in genere il re-sto della odierna popolazione toscana non ha più attinenza con l’antIco DNA etrusco. A noi però sembra che per sostenere una simile tesi l’equipe non avrebbe dovuto limitarsi ad esaminare il DNA dei soli odierni abitanti di Casentino, Volterra, Murlo e Firenze, ma a-vrebbe dovuto estenderlo almeno a quelli delle regioni di Tarquinia, di Vulci e di Cerveteri. E qui entriamo nel cuore della questione perché proprio Tarquinia, Vulci e Cere, sono i più grandi ed antichi centri dell’Etruria antica. Ed è dalle loro regioni che le tradizioni greche e romane facevano partire sia le mitiche migrazioni verso oriente (soprattutto Virgilio e Stra-bone) sia quelle altrettanto mitiche verso l’Etruria (soprattutto Licofrone, Varrone e Virgi-lio). E’ Tarquinia (Corneto-Còrito) peraltro l’epicentro della mitica diaspora italica verso le isole Egee e la Troade (Virgilio, Eneide, passim), ed il centro del mitico ritorno dei Troiani in Italia (Licofrone, Alessandra 1240 ss.; Virgilio, Eneide, passim).
    Noi abbiamo già visto che, in passato, sia Barbujani che Torroni avevano notato una certa somiglianza fra il DNA degli attuali Turchi e quello degli attuali Toscani, e con ciò avevano ipotizzato che alle origini della nazione etrusca vi fosse stata una migrazione dall’oriente in Italia.
    Non so se Barbujabi abbia letto il mio articolo. Oggi, comunque, egli è fra gli autori della relazione pubblicata su PLOS in data 06/02/2013.
    A pag. 5, i relatori scrivono testualmente:

    “Going back to the issue of the Etruscans’ origin , if the genetic resemblance be-tween Turks and Tuscans reflects a common origin just before the onset of the Etruscan culture, as hypothesized by Herodotus and as considered in some recent studies, we would expect that the two populations separated about 3,000 years ago. To discriminate between the potentially similar effect of remote common origin and recent gene flow, we ran four independent analyses based on the IM method. In the model we tested, the two populations originate from a common ancestor, and may or not may exchange migrants after the split. Assuming an average generation time of 25 years and no migration after the split from common ancestor, the most likely separation time between Tuscany and Western Anatolia falls around 7,600 years ago, with a 95% credible interval between 5,000 and 10,000”.

    Più avanti, a pag. 6, poi, si dice:

    “The likely separation of the Tuscan and Anatolian gene pools must be placed long before the onset of the Etruscan culture, at least in Neolitic times”.

    Ancora più avanti, a pag. 7, si ripete:

    “Contacts between people from the Eastern Mediterranean shores and Central Italy date back to a remote stage of prehistory, possibly to the spread of farmers from the Near East during the Neolitic period … At any rate, these contacts occurred much earlier than, and hence appear unrelated with, the onset of the Etruscan culture”.

    Riportato in parole italiane, i membri dell’equipe dicono che se la somiglianza genetica fra Turchi e Toscani riflette un’origine comune risalente a qualche tempo prima dell’inizio della civiltà Etrusca, noi ci dovremmo aspettare che le due popolazioni si separassero circa 3.000 anni fa. Invece, essi sostengono, dai campioni di DNA esaminati, emerge che le due popolazioni originano sì da un comune antenato, e possono o non possono essersi cambiati emigranti dopo la divisione, però, presumendo che nessuna migra-zione sia avvenuta dopo la divisione dai comuni antenati, e che il tempo medio di una ge-nerazione è di 25 anni, l’epoca più probabile di separazione fra Toscani e gli Anatolici oc-cidentali risale a 7.600 anni fa circa, con un 95% di intervallo credibile tra 5.000 e 10000. Ciò, secondo l’equipe, sarebbe accaduto durante il Neolitico, forse al tempo in cui alcuni studiosi presumono che siano avvenuti contatti fra il Mediterraneo orientale e l’Italia centrale. Ed in ogni caso questi contatti sarebbero avvennuti prima del nascere della civiltà e-trusca.
    Niente da obiettare che gli odierni Turchi (in quanto in parte discendenti degli antichi ana-tolici) e gli odierni Toscani possano risalire ad un comune antichissimo antenato di 7.600 anni fa. Scientificamente però questo non implica che dopo quella data non siano avvenuti ulteriori spostamenti di gente dall’una e dall’altra parte. Anzi proprio l’antica parentela può averli favoriti.
    Se infine è ammissibile che in epoca neolitica avvenne una migrazione dalle coste orien-tali del Medterraneo in Europa e in Italia, ciò dovrebbe implicare che oggi in buona parte d’Europa si dovrebbe riscontrare un valore di somiglianza genetica coi Turchi più o meno pari a quello che oggi si riscontra fra Toscani e Turchi. Ma non è così. Il valore del Dna dei Toscani è nettamente superiore a quello degli altri Europei. Dunque, senza negare l’originaria migrazione dall’Anatolia all’Europa ai tempi del Neolitico, bisognerebbe però anche ammettere che la maggiore somiglianza che il Dna toscano ha oggi con quello dei Turchi dovrebbe esser dovuta ad una o a più immigrazioni successive, proprio come la-sciano ipotizzare le antiche tradizioni greche e latine. E’ ovvio che questi contatti fra genti del Mediterraneo orientale e la popolazione di civiltà Appennnica che a quel tempo abitava le sulle coste tirreniche dell’Italia centrale dovettero avvenire prima del nascere della na-zione etrusca come tale. Infatti, il territorio che poi in epoca apparterrà alla lucumonia di Tarquinia presenta contatti col mondo miceneo ed in genere col Mediterraneo orientale che risalgono fino al XIV secolo a.C.
    A questo proposito sarebbe stato molto interessante analizzare il DNA sia di coloro che vi-vevano nell’Italia centrale tirrenica durante gli ultimi secoli del secondo millennio a. C. sia di coloro che vi abitavano e nei primi secoli del primo millennio a.C. e poi compararlo con quello delle popolazioni che a quel tempo vivevano in Anatolia (Troade, Misia, Arzawa, ecc.) e nelle isole Egeee (Lemno, Imbro, Samotracia, Lesbo, ecc.). Barbuiani e i membri dell’equipe da lui coordinata sostengono che

    “As for the Etruscans’ origins, ancient DNA is of little use, because pre-Etruscan dwellers of Central Italy, of the Villanovian culture, cremated their dead,and hence their genetic features are unknown (Per quel che riguarda le origini degli Etruschi, il DNA antico è di piccolo uso, perché gli abitanti pre-Etruschi dell’Italia Centrale, di cultura di Villanoviana, cremavano il loro morto , e per ciò le loro caratteristiche ge-netiche sono ignote)”.

    Ma non tutti gli Etruschi dell’Italia centrale, (di cultura impropriamente chiamata Villano-viana) cremavano i loro morti. Nelle loro necropoli la maggior parte delle sepolture è a cremazione, ma ce ne sono anche ad inumazione. E poiché, almeno in antico, esser cre-mato o inumato non era una qualsiasi opzione, ma implicava una diversa concezione reli-giosa del mondo e dell’al di là, la diversità compresente nelle sepolture dell’epoca potreb-be essere indicativa della diversità di due culture che si incontravano.

    Alberto Palmucci

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