Conclusa la campagna di scavi a Amiternum (AQ)

L’Aquila, 26 lug. – Nel giorno di S.Anna, dono prezioso, prima di chiudere gli scavi, degli archeologi alla cultura, alla storia, alla “grande città degli scavi” che ormai L’Aquila è diventata: dalla campagna di Amiternum (ultimi scavi, 1976…) risorge una grande e ricca città, o meglio i suoi segni, i suoi abitanti, le sue abitudini e la sua ricchezza.

“Non una piccola Pompei, ma una grande Amiternum”[/i] dicono sorridendo la sovrintendente Rosanna Tuteri, il direttore Di Paola, e i loro collaboratori, tra i quali docenti dell’Università svizzera di Berna.

Le scoperte avvenute durante gli scavi sono strepitose. Presso il teatro, una statua di finissima fattura e una gigantesca domus di una famiglia molto ricca. Tutto “visto” nelle prospezioni con il magnetometro, che rivelano la tessitura dell’abitato, e un’ampia strada di collegamento larga 15 metri fino all’anfiteatro: una sorta di corso dell’antica città sabina.
Accanto al teatro sorgeva un quartiere periferico di benestanti: tutta la piana tra teatro e anfiteatro era urbanizzata, dunque Amiternum era una città per quei tempi alquanto grande, forse di 20-25.000 abitanti. Centro ricco, importante, dotato di imponenti edifici pubblici e di due teatri con migliaia di posti a sedere. Tre strade conducevano o passavano per Amiternum: la via Cecilia verso le Capannelle e Teramo-Interamnia, due rami della Salaria da Antrodoco verso la Valle dell’Aterno, e la via Claudia Nova che partiva dalla città sabina diretta verso i Vestini e la Tiburtina a Bussi.

Di recente, tronchi della Claudia Nova sono stati trovati negli scavi archeologici lungo la ss.17 in territorio vestino. Amiternum, fiorente nel primo secolo a.C., non era la sola città della zona: c’era la misteriosa Testruna, originaria dei Sabini, c’era forse Lista e soprattutto Tiora Matiena (Teora di Barete) luogo di origine dei Sabini e base di partenza delle loro primavere sacre. Accanto all’anfiteatro sono comparse, invece, una piazza e un imponente edificio con colonnato, forse un tempio, di fronte al quale corre una strada a lastroni di basalto. La Cecilia? “Forse” dice prudente la signora Tuteri. Certo, matematicamente, che tutta Amiternum è lì nella campagna, sotto due metri di terra.
Ma il gioiello è lui, il personaggio ritratto in una statua di marmo pario, grandezza quasi naturale, risorto nella domus che ornava, una villa enorme, a 50 metri dal teatro. La statua ritrae forse il padrone della domus, con clamide sulla spalla e fibbia, pettinatura tipicamente romana, volto raffinato, calzari e un’arma da taglio nella mano sinistra. L’uomo è in posa statuaria, celebrato dallo scultore raffinatissimo, un vero maestro.

Il marmo pario in cui è scolpito giungeva in Italia dalle Cicladi, ventose isole greche: un marmo luminoso, chiaro, perfetto per la scultura, che assorbe la luce prima di restituirla agli occhi. Usato per statue celeberrime. La clamide, un corto mantello indossato da viandanti ed efebi, cavalieri e nobiluomini, era un indumento decorativo di vezzosa eleganza. Non adatto a questi nostri climi, ma molto decorativo.

La statua è apparsa agli archeologi crollata e spezzata. La domus porta i segni di crolli e alcuni lastroni di pietra sono spostati in avanti come per un durissimo scossone. Tutta la città reca i segni di un terremoto: quel “terraemotus totius Italiae” che squassò la penisola intorno al 347 dopo Cristo. I cataloghi sismici lo ricordano come terremoto del Sannio. Una ferita insanabile che diede inizio alla decadenza finale di Amiternum.

L’archeologia aquilana non è ormai solo eccezionalmente ricca, ma sontuosa, spettacolare: abbiamo una capitale, è Amiternum, metropoli sabina che fa da contrappeso alla metropoli vestina di Peltuinum a Prata d’Ansidona.

E il museo archeologico dei Raccomandati? Chiuso, anzi mai aperto. Ecco perchè la statua rinvenuta partirà per i restauri verso Chieti. “Ma tornerà a L’Aquila” garantiscono premurosi gli archeologi. “Se ci sarà dove collocarla, naturalmente”. Of course.

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Ultima modifica 2007/07/27